Two Hotel
Un nome-omaggio al lavoro pionieristico di Alighiero Boetti (1940 - 1994) e un impegno a proseguire la missione da lui intrapresa con il “One Hotel”.
L’albergo, che dal 1971 al 1977 fu per Boetti luogo di residenza e di produzione artistica durante i suoi soggiorni a Kabul, è verosimilmente il suo “lavoro afgano” più significativo, nonostante la natura di opera d’arte non gli sia stata espressamente riconosciuta se non a posteriori.
Un lavoro che si è concretizzato nella silenziosa ma precisa volontà di creare un luogo di aggregazione: un posto dove le persone potessero ritrovarsi, anche soltanto per bere un bicchiere di vino in giardino, ascoltare musica dal vivo o condividere un pasto.
L’operazione artistica, in sostanza, consisteva “semplicemente” nel dare al prossimo l’opportunità di arricchirsi dell’interscambio che aveva luogo tra quelle mura, dove la distanza fisica e culturale veniva temporaneamente annullata.
Un’iniziativa di hotellerie certamente insolita per i tempi, che assume contorni ancor più straordinari se si pensa agli sviluppi geopolitici che di lì a breve avrebbero brutalmente segnato il destino dell’Afghanistan e, per aspetti diversi, del mondo intero.
È questa poetica visionaria e precorritrice dei tempi che ha portato alla fondazione del Two Hotel, simbolico compimento di un secondo passo sulla via aperta dal maestro italiano. Fatto tesoro del suo insegnamento (o per meglio dire lezione come già suggeritoci da Mario García Torres) il Two Hotel rivolge un invito aperto a divenire “ospite”.
Il termine, con il quale la lingua italiana identifica sia la persona ospitante che quella ospitata, sintetizza infatti perfettamente l’identità di questa nuova operazione: la reciprocità. Una relazione bilaterale che si traduce non soltanto nella predisposizione all’accoglienza ma altresì nella consapevolezza sull’importanza di ogni input, emanato o recepito che sia.
Un invito, dunque, a giocare questo ruolo poliedrico di invitato che accoglie, per aiutarci a ricordare come siano proprio alcuni, significativi incontri tra le persone a generare gli effetti più incisivi sulle rispettive vite e nel tempo. Ma anche, e soprattutto, un’esortazione a sperimentare in prima persona come l’arte la si possa in vari modi alimentare, piuttosto che limitarsi ad osservarla a distanza.
L’intervento artistico, in sostanza, non riguarda più soltanto lo spazio fisico che l’hotel mette a disposizione dell’artista ma altresì quello immateriale che le persone-ospiti vorranno concedergli. Ed è proprio questo possibile interscambio, combinato all’unicità degli elementi umani e naturali che qui si mescolano, a costituire la vera essenza del progetto.
Ciascuna azione varrà dunque a rivelare funzione e funzionalità del gesto artistico oggi, nel paradosso dell’aver scelto un non-luogo dell’arte per introdurre quest’ultima al suo naturale interlocutore: chiunque voglia accoglierla.